Smart working, alla Pa occorre un approccio aziendale

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Prima di parlare di qualsiasi Regolamento ovvero di formalità varie per l’inquadramento dello smart working, nella Pa – centrale e locale – occorre individuare correttamente – secondo un approccio soprattutto di tipo aziendale – i “fattori chiave” del lavoro agile che verrà.

Lo smart working non equivale a telelavoro

Anche a causa di quello che è avvenuto durante il lockdown primaverile, la principale ambiguità da superare è che lo smart working non coincide assolutamente con il lavoro da da casa. Non bastano gli elementi quali: ambiente di casa, connessione veloce e sicura, ma quello su cui occorre puntare è una nuova cultura tecnologica e una nuova organizzazione del lavoro, che potremmo definire nuova «cultura digitale», il che non significa soltanto «usare a distanza» il computer.
È una nuova sfida – a tutti i livelli – che impone di agire e pensare in modo diverso, che rivoluziona non soltanto il rapporto ente-lavoratore ma anche le relazioni gerarchiche.
Da una parte c’è la necessità di una maggiore delega verso i lavoratori, dall’altra, occorre responsabilizzare maggiormente quest’ultimi.

Obiettivi aziendali, individuali e operativi

Se ai dirigenti/responsabili ricadrà la necessità di «saper delegare» (cosa non scontata nella Pa), di basare il rapporto con i propri dipendenti sulla base di una maggiore fiducia, di saper fissare obiettivi operativi coerenti con gli obiettivi aziendali e di valutare sulla base dei risultati effettivamente raggiunti, al lavoratore spetterà il compito di sapersi adeguatamente organizzare per il raggiungimento degli obiettivi assegnati e di ottimizzare il tempo del lavoro; il tutto facendo leva su una «comunicazione aziendale» efficiente, chiara, univoca, fuori dalla comune accezione che basti “semplicemente” lavorare o svolgere comunque un’attività lavorativa.

Flessibilità quale corollario di efficienza e di qualità dei servizi ai cittadini

Per Palazzo Vidoni l’utilizzo della flessibilità deve rispondere a obiettivi di efficienza e di miglioramento dei servizi e che il
lavoro agile deve costituire una vera ed effettiva risorsa per la Pa. Questi requisiti non possono essere “inventati” da un giorno all’altro ma richiedono, oggi più che nel passato, una riflessione seria di cosa effettivamente essi richiedono. Come in ogni azienda, privata o pubblica, solo una corretta visione di performance aziendale e individuale può aiutare a creare una struttura organizzativa «ad albero» che, in maniera chiara e inequivocabile, faccia capire «chi fa cosa» per il raggiungimento degli obiettivi strategici. Pertanto, dovrà essere netta – oggi più che mai – la distinzione tra una “attività” rispetto a un “obiettivo”; la prima, nell’attuale contesto storico, non è sufficiente a legittimare l’attività pubblica. 
Se prima essa poteva nascondersi nei meandri dell’azione amministrativa, con lo smart working essa appare “sterile” se non inserita in un contesto di strumentalità rispetto al raggiungimento di un più alto livello di efficienza (capacità di un consumo adeguato di risorse finanziarie, umane e strumentali), di efficacia (capacità di fare qualcosa di utile per la collettività – «creare valore per il cittadino») e qualità (insieme degli elementi del servizio pubblico maggiormente rispondente alle esigenze attuali e prospettiche del cittadinoutente) dell’azione pubblica, elementi tutti che contraddistinguono un vero obiettivo.

Il piano della performance quale strumento di garanzia per il lavoro agile

La modifica apportata alla legge 124/2015, artic olo 14, comma 4-bis, in base alla quale le amministrazioni pubbliche entro il 31 dicembre di ciascun anno redigono il Piano Organizzativo del Lavoro Agile (Pola), quale sezione del Piano della Performance (articolo 10 del DLgs 150/2009) sembra centrale e rispondente alle nuove esigenze.
Il Piano della Performance, che già deve essere adottato «in coerenza con i contenuti e il ciclo della programmazione
finanziaria e di bilancio, che individua gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definisce, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance
dell’amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori» dovrà recepire in maniera puntuale le esigenze di una nuova ristrutturazione dei processi erogativi dei servizi pubblici, dei nuovi e inderogabili modelli organizzativi del lavoro degli uffici – in-house e in remoto – con ipotesi rotative dei dipendenti, fermo restando gli obiettivi individuali da raggiungere, che dovranno essere più che mai chiari, fissati per ogni lavoratore, in una chiara visione aziendale, grazie alla quale ciascuno di essi potrà sentirsi utile, apprezzato e (quasi) indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi strategici dell’ente.
Se tutto questo è mancato sino a ora, è il caso di fare perno su questi nuovi-vecchi elementi che spesso sono risultati assenti
per troppo tempo nella Pa e che per colpa di una visione burocratica incentrata quasi esclusivamente sulle attività anziché sugli obiettivi, ora è destinata a fuoriuscire e ad essere incastonata in un vero ed effettivo Piano della Performance.
La direzione centrale, il segretario e i responsabili del sistema dei controlli interni sono chiamati – da subito – a svolgere un
ruolo centrale e determinante, con una sfida ben precisa: che gli strumenti quali Peg, PdO, PdF e Pola possano essere effettivi strumenti di lavoro e rappresentare un sistema coerente complessivo grazie al quale sia ben chiaro dove deve andare l’Ente (obiettivi strategici) e «chi deve fare cosa» (secondo tempi e modalità ben definiti), anche se a “distanza”. Ed è sicuramente quello che il Ministro Dadone vuole ottenere: meno burocrazia e più efficienza e miglioramento dei servizi a favore dei cittadini. Che il lavoro agile possa cogliere tutti questi nuovi aspetti positivi, per tutti.

“NT+ Enti Locali & Edilizia” – IlSole24Ore 
del 17 settembre 2020

Ciro D’Aries

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