Nel caso in cui la società partecipata versi in uno stato conclamato e perdurevole di crisi tale da non consentire più di onorare gli impegni verso l’ente socio, quest’ultimo dovrà procedere a un corretto stanziamento del fondo crediti di dubbia esigibilità (Fcde) per scongiurare il rischio di mancati introiti, tenendo conto anche della corretta natura delle entrate relative.
Il caso
La Corte dei conti Lombardia con la deliberazione n. 117/2020, in seguito alle verifiche operate sulla relazione al bilancio di previsione e sul rendiconto dell’esercizio di un Comune, ha accertato la sussistenza «di gravi criticità» in capo all’ente dovute dalla mancata congruità dell’ammontare dei residui attivi e dell’accantonamento al Fcde rispetto alla situazione economicofinanziaria della società partecipata vertente in una perdurante situazione di crisi imputabile alla progressiva riduzione dei ricavi.
L’assenza di congruità di questi importi ha prodotto un effetto finanziario rilevante in capo all’ente in quanto si ripercuote sull’esatta determinazione del risultato di amministrazione e sul ripiano del disavanzo.
Lo stanziamento al fondo crediti di dubbia esigibilità
Nell’ambito della contabilità finanziaria degli enti locali, il principio contabile 4/2, allegato al decreto legislativo 118/2011, disciplina il cosiddetto fondo crediti di dubbia esigibilità, ovvero sia quel fondo stanziato tra le spese di ciascun esercizio di parte corrente e in conto capitale, il cui ammontare viene determinato in considerazione della dimensione degli stanziamenti relativi ai crediti che si prevede si formeranno nell’esercizio finanziario, della loro natura e dell’andamento del fenomeno negli ultimi cinque esercizi precedenti.
Lo stanziamento al predetto fondo, nella logica dell’impianto normativo su cui si regge la «competenza finanziaria potenziata» degli enti locali, svolge la funzione di garantire equilibri di bilancio effettivi e non meramente contabili, nei quali le entrate effettivamente esigibili costituiscono la copertura di spese esigibili, al fine di garantire il pagamento dei debiti esigibili.
In sostanza la funzione fondamentale del Fcde è quella di evitare che le entrate di dubbia esigibilità, previste e accertate nel corso dell’esercizio, possano finanziare delle spese esigibili nel corso del medesimo esercizio [Corte Costituzionale, sentenza n. 279/2016].
L’Irregolarità del Fcde di una società partecipata in crisi
La Corte, ha riscontrato che la società pubblica partecipata oggettivamente risultava in una prolungata situazione di crisi dovuta a una sensibile riduzione della capacità di realizzare ricavi rispetto a quelli assicurati in passato, comportando due criticità rilevanti nella contabilità finanziaria del Comune socio:
La prima dovuta al fatto che il Comune socio abbia continuato ad accertare le entrate da «proventi da gioco» della società partecipata per importi rilevanti senza procedere ad alcun accantonamento prudenziale per scongiurare il rischio del mancato introito;
La seconda dovuta all’errata imputazione tra i residui attivi di quei proventi riportati in virtù di un contratto preliminare di vendita che hanno, pertanto, determinato una sovrastima del risultato di amministrazione.
In merito al primo punto, dalla documentazione e dalle dichiarazioni pervenute dal responsabile del servizio finanziario dell’ente, la corte ha accertato che venivano esclusi dalla determinazione del fondo le suddette entrate, probabilmente poiché essendo classificate dal Dlgs 118/2011 quali entrate correnti di natura tributaria, non sono state ritenute idonee a dar luogo a crediti di dubbia esazione.
Sul punto la magistratura contabile, non trovando fondatezza nelle ragioni assunte dal Comune in relazione all’esclusione dal Fcde delle suddette entrate – infatti, i crediti che è possibile escludere dal calcolo del Fcde sono quelli verso altre Pa e non quelli verso le società partecipate, pur affidatarie dirette di attività strumentali o servizi pubblici locali [Delibera n. 145/2019 della Corte dei conti Lombardia] – si è pronunciata in modo critico rilevando una gravissima crisi di liquidità in capo al Comune che è stato costretto a farvi fronte ricorrendo all’anticipazione di tesoreria.
Ciò si è verificato in quanto, per effetto del mancato accantonamento, entrate accertate e non riscosse sono state comunque destinate al finanziamento di spese esigibili.
In merito al secondo punto, invece, si deve ricordare che ai sensi degli articoli 186 e 187 del Tuel, il contratto preliminare di vendita non può costituire titolo giuridico idoneo all’iscrizione dei relativi ricavi contrattuali tra i residui attivi. In relazione alla determinazione del Fcde, a prescindere dalla natura giuridica delle somme dovute dalla società partecipata, qualora la stessa versi in una conclamata e perdurante situazione di crisi tale da rendere oggettiva l’impossibilità di onorare gli impegni verso il socio, il Comune socio non potrà continuare a procedere ad accertare le entrate derivanti dalla società per importi rilevanti senza procedere ad alcun accantonamento prudenziale per scongiurare il rischio del mancato introito.
“NT+ Enti Locali & Edilizia” – IlSole24Ore
del 7 ottobre 2020
Ciro D’Aries e Alberto Ventura